Tutto quel che non ho imparato a scuola by Erling Kagge

Tutto quel che non ho imparato a scuola by Erling Kagge

autore:Erling Kagge
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 2020-05-21T12:00:00+00:00


10.

Soli con sé stessi

Mi sono sentito molto piú solo a qualche festa affollata o in città densamente abitate che non mentre attraversavo il Polo Sud in solitaria.

In mezzo ai ghiacci, a migliaia di chilometri dalla gente, ho sentito di rado nostalgia dei miei simili. Ogni tanto mi mancava il contatto fisico, ma non molto di piú. Ero appagato da me stesso, dalle esperienze nella natura, dal ritmo, dal procedere passo dopo passo per lunghi tratti. Quando nell’estate del 1986 andai per la prima volta a New York, senza soldi e senza conoscere nessuno, la sensazione di solitudine fu invece opprimente.

Essere in mezzo alla folla può acuire in noi il senso di solitudine. Durante la spedizione al Polo Sud non ebbi contatti con il mondo esterno e forse è per questo motivo che avvertii di meno la mancanza delle persone. Lungo il cammino, per me fu un sollievo non poter parlare con nessuno alla radio o al telefono. Diversamente, una parte di me stesso non avrebbe mai lasciato la Norvegia e io non mi sarei goduto appieno molto di ciò che l’Antartide aveva da offrirmi.

Nel corso del viaggio compresi quanto fosse importante essere protagonisti della propria vita e non viverla attraverso gli altri. Il passato e il futuro si susseguivano senza soluzione di continuità e avevano scarsa rilevanza in quella distesa di ghiaccio. Esisteva solo il presente. Niente serie tv, niente notiziari, niente storie scandalistiche, nessuno di cui doversi prendere cura. Solo grandi superfici bianche a perdita d’occhio. Sole e cielo blu per tutto il giorno o quasi. Una vita cosí dà un gran senso di libertà. La libertà di essere da soli con sé stessi e di inseguire un sogno.

«La solitudine non ha ovviamente una valenza positiva in sé. Spesso viene percepita come un peso, ma racchiude anche delle potenzialità. Ogni essere umano è solo, qualcuno piú di altri, ma nessuno vi si può sottrarre», ha scritto il filosofo Lars Fr. H. Svendsen nel suo libro Ensomhetens filosofi («filosofia della solitudine»). Molte religioni e sistemi filosofici hanno per secoli idealizzato la solitudine, ma oggigiorno sono in molti a pensare che abbia una valenza prevalentemente negativa. Per me dipende in sostanza da come affronto le situazioni quando sono da solo, se riesco a gestire la solitudine in modo positivo oppure se divento irrequieto e mi faccio un po’ cogliere dal panico. Qualche volta mi capita di essere in preda all’agitazione durante le prime ore o i primi giorni in cui sono da solo, ma se resisto e non cedo al bisogno di compagnia o ai pensieri sul passato e sul futuro, dopo un po’ vengo pervaso da una sensazione di pace che mi permette di gustare il tempo che trascorro unicamente in mia compagnia.

Quand’ero piccolo, non mi piaceva stare da solo. Se non ero con gli altri bambini era perché nessuno di loro voleva giocare con me, e quindi la solitudine era una forma di sconfitta. Stare insieme agli amici, preferibilmente molti e soprattutto della mia età, mi dava un senso di sicurezza.



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